L'austerità spacciata per spending review

Tagli, tagli e ancora tagli. I lavoratori statali non avranno più il posto garantito, saranno sempre “più simili ai lavoratori del privato”. Un decimo dei ministeriali va a casa; la spesa sociale verrà ridotta all’osso, tra tagli indiretti agli ospedali e la sempre più decadente condizione dell’istruzione pubblica. Da ottobre si procederà con i prepensionamenti, in modo da mandare a casa entro la fine dell’anno circa 7 mila persone; la cosiddetta spending review si sta rivelando l’ennesimo tentativo linguistico di utilizzare l’inglese per far sembrare meno amaro il concetto, ma ormai anche gli italiani meno cosmopoliti hanno capito il trucco.

Dopo tutto, questa è l’austerità, la ricetta dell’Unione europea, l’antidoto di Angela Merkel al quale si oppongono solo timidi tentennamenti (da parte di Hollande). Il nostro governo tecnico si era insediato già con l’idea di seguire il progetto teutonico, con tutti i sacrifici che questo significava.

Adesso che l’austerità non è più solo una parola che si sente al telegiornale – quasi fosse la corrente politica del momento – ma colpisce la busta paga dell’italiano medio, rende sempre meno disponibile il servizio sanitario, strangola le università pubbliche e demoralizza le piccole imprese, adesso sì che l’austerità fa paura.

Ma secondo il ministro Fornero e il premier Monti, la deregolamentazione del mercato del lavoro, i tagli alla spesa pubblica e le privatizzazioni massicce, pagheranno: il paese tornerà ad essere competitivo. Saremo attraenti per i mercati e ci avvicineremo agli standard del nord Europa. Eppure, in base a quanto si legge dal rapporto del World Economic Forum (la massima autorità globale in materia di politica economica) i sei paesi più competitivi al mondo, Svezia, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Austria e Germania, sono caratterizzati da “un mercato del lavoro molto regolamentato”, proprio l’elemento che si sta cercando di combattere.

Come sappiamo, paesi come la Svezia e la Danimarca fanno dell’investimento sulla spesa pubblica il loro punto di forza. Il sistema sanitario e quello della previdenza sociale, per non parlare dell’istruzione, rappresentano per loro delle basi in cui sarebbe impensabile smettere di investire soldi pubblici. Di fronte ai tagli a dir poco dolorosi che il sud Europa sta attuando alla spesa sociale, i ministri delle finanze finlandesi o austriaci rimarrebbero inorriditi. Ma questa è la ricetta che abbiamo deciso di seguire.

E nel frattempo la disoccupazione raggiunge livelli da record. In Spagna gli ulteriori tagli stanno deprimendo ancor di più una classe media sempre meno lontana dalla povertà. La situazione del Portogallo, che sta seguendo per filo e per segno i consigli del Fondo monetario internazionale si sta rivelando deleteria a livello sociale. Della Grecia ultimamente si hanno meno notizie, forse la realtà ci farebbe troppa paura.

Di fronte al fallimento delle politiche depressive, non sembra che l’intenzione sia quella di cambiare rotta. Insisteremo con i tagli al settore pubblico, manderemo a casa lavoratori che un tempo pensavano di avere il posto fisso, diremo commossi ai pensionati che dovranno fare degli enormi sacrifici e ai giovani che ormai non esiste più la noia del lavoro stabile. Probabilmente qualcuno, pochi, riusciranno a sopravvivere, persino ad arricchirsi. Per tutti gli altri vale l’austerità.

Torna in alto