Sale sul palco, si toglie la giacca ed esclama: «Eliminiamo questa ufficialità che non serve a nulla». Si presenta così ai ragazzi di Volalibro il professore-cantautore Roberto Vecchioni, che con il suo fare autentico e fuori dagli schemi, indossando un paio di blue jeans e una camicia casual, spiazza immediatamente l’uditorio di Volalibro 2010, entrando in confidenza con il numeroso pubblico presente nell’Aula Magna del seminario vescovile di Noto.
Subito il colloquio si apre con un lungo monologo come atto d’amore per la Sicilia «che è madre di tutte le culture» e verso il popolo e i ragazzi siciliani «che sono tra i più avanti di tutta Italia, anche se purtroppo non hanno spesso i mezzi per dimostrarlo». Sul palco Vecchioni è un perfetto padrone di casa: senza concedere spazi alle formalità aggredisce la platea, inondandola di riflessioni sulle parole e sul valore della lingua, «vero ponte comunicativo per gli uomini». Tra considerazioni personali sulla società attuale, sulla scuola contemporanea e sulle nuove generazioni, le citazioni di autori di ogni epoca si susseguono: «Io non posso adirarmi con un mio affine e neppur sentirmi a lui nemico. Siamo nel mondo per reciproco aiuto, come piedi, come mani, come palpebre, come i denti di sopra e di sotto in fila; in conseguenza è contro natura ogni azione di reciproco contrasto. Ed è contrasto l’ira e la reciproca avversione».
Le parole tratte dai pensieri di Marco Aurelio introducono il dialogo paterno – e fraterno al tempo stesso – che il cantautore intreccia con i ragazzi. «Il mondo non va a caso, agisce secondo delle logiche ben precise che gli uomini tessono. Non si può sconoscere una cosa e possederla, è un assurdo pensiero. Come si fa, ad esempio, ad amare senza conoscere? I tuoi figli, tua madre, la tua compagna: li ami quando li conosci. Conoscere è amare, conoscere è vivere».
Calde le raccomandazioni contro le lusinghe che la società dell’immagine offre: «Non fidatevi dei paradisi meravigliosi, della felicità regalata con poco sforzo, offertavi dalla pubblicità. Il principio del “voglio tutto e subito” è lo slogan ufficiale. Ma questo mondo che corre e consuma non vi lascia il gusto della conquista, del domani, del sogno. Questo è il senso che vi dovrebbe instillare la scuola, anche se adesso non ve ne accorgete, ma quando avrete bisogno, quando vi salteranno addosso, ritroverete delle cose che avete incamerato in precedenza».
Una lunga riflessione viene poi riservata al mondo della cultura e in particolare dell’istruzione: «La scuola italiana è cambiata tantissimo, sempre in peggio. Ho visto i tentativi dei ministri: i tentativi di cambiare senza riuscirci. Ma c’è una base fondamentale: l’istruzione a qualunque livello è la cartina al tornasole della civiltà di un popolo. Non esiste nel mondo un sistema di istruzione che oggi faccia così schifo come quello italiano. Da cosa dipende? Dai tagli all’istruzione, perché giudicata facoltativa. Gli insegnanti sanno benissimo di quanti e quali bisogni avete. E queste capacità e sensibilità sono premiate con l’elemosina, non con stipendi proporzionati alle responsabilità enormi che i docenti hanno nei confronti dei giovani. Sarà sempre così finché la scuola italiana non diventerà una priorità».
I minuti si accavallano, ma la platea non lo molla e Vecchioni si concede con trasporto, raccontando i ricordi di gioventù, il percorso professionale all’interno della scuola, le avventure con Francesco Guccini, il rapporto di amicizia viscerale con Alda Merini: «Mi svegliava nel cuore della notte, dettandomi delle poesie. Ne conservo molte inedite e lo farò gelosamente per sempre».
Il saluto, infine, si è tinto ancora una volta d’affetto per l’Isola e di ironia verso i ragazzi che gli hanno chiesto di cantare e di continuare a rispondere alle domande: «Non temete, cari ragazzi, tanto tornerò presto. Ho pensato bene che d’ora in poi metà della mia esistenza la passerò in Sicilia, l’altra metà del resto d’Italia».