Quelli dello Jägermeister/3: Riccardo Corbi

Fino alla scorsa domenica, Riccardo Corbi era ancora in campo con la maglia dell’Azzurra Belpasso contro il Basket Club Zafferana. Il pivot originario di Roma ormai va per i 48 anni, però è il capitano della sua squadra e fa ancora la differenza in Serie D. «Sono almeno sette anni che mi dico che è l’ultima volta che scendo in campo, ma alla fine riprendo sempre. Ho ancora tanta passione: alla mia età, se non ne avessi non potrei continuare. E poi mi regge ancora il fisico. Inoltre, ho tanta voglia di stare con i ragazzi e di poter loro insegnare qualcosa. In più in squadra mi trovo molto bene.»

Ma non ha mai pensato di allenare?
«Mi sono sempre rifiutato; qualcuno me l’aveva proposto, ma non sono interessato. Finché posso fare degne figure rimarrò in campo, poi smetterò.»

Quando ha iniziato a giocare?
«Nel 1978, a Roma, con una squadra di religiosi che partecipava alla Serie B, il Vis Nova. Sono partito dalle giovanili a diciotto anni, abbastanza tardi: cadetti, juniores e poi prima squadra. Dopodichè ho avuto una chiamata dalla Ferrarelle Rieti; con loro ho disputato un torneo estivo, la Summer League.»

Come è maturata l’idea di scendere in Sicilia?
«In quel periodo ho conosciuto Angelo De Stasio, che mi ha proposto di venire a Catania. Io ero infortunato ma l’occasione si è presentata ugualmente: Rolando Rocchi, il nuovo allenatore, aveva bisogno di un pivot e mi contattò. Ero comunque intenzionato ad andare un anno fuori. Al torneo di Nicolosi, nel precampionato, avevo una media di venti punti: sarebbe potuta essere una grande stagione, ma mi lussai una spalla. Rimasi fermo solo un mesetto, ma quando rientrai non ero ristabilito: mentre giocavo, a volte, mi usciva la spalla e dovevo sistemarmela… Ero psicologicamente limitato dall’infortunio. La squadra non riuscì a fare i play-off per un canestro di differenza e proprio contro una squadra che avevamo battuto in casa e in trasferta. È stato un grande rammarico.»

Prendeva uno stipendio?
«Il primo anno mi davano un rimborso spese di 300.000 lire al mese più vitto e alloggio. Stavo in affitto con Gerardo Liguori.»

Come proseguì la sua carriera?
«Di comune accordo con il Gad Etna, sono andato alla Berloni Giarre in Serie D, con cui siamo stati promossi in Serie C. In seguito ho giocato con l’Augusta, di nuovo con il Gad Etna, con il Leonardo da Vinci, con il Comiso, con il Piazza Armerina e con il Siracusa. Mi sono fermato per un biennio dopo un ritorno a Piazza Armerina e infine mi ha chiamato Liguori all’Azzurra. Abbiamo vinto il campionato di Promozione e oggi facciamo la Serie D.»

Come fu il secondo anno con il Gad Etna?
«In squadra c’erano Taormina e Vaccino, il presidente era Maglia, che era il suocero di Pippo Strazzeri. Lui allenava e la moglie, Laura, faceva l’assistente. Abbiamo fatto un discreto campionato di Serie C.»

Quali sono il suo punto forza e il suo punto debole?
«Ho sempre curato la tecnica della difesa, soprattutto rimbalzi e tagliafuori. Non segnavo, invece, molti punti: quattro o cinque canestri erano già un successo. Ogni anno ho sempre avuto parecchie richieste e ho giocato a buoni livelli, e di questo sono orgoglioso.»

Qual è stato il suo campionato più soddisfacente?
«La promozione di Piazza Armerina e prima ancora quella di Comiso, sempre in B2. All’Olympia ero allenato da Riccardo Cantone. Il mio campionato fu strepitoso, anche se avevo già una certa età. In termini di punti, viaggiavo ad una media di quindici a partita e alla fine molte squadre, anche del centro e del nord, mi cercarono. Ho avuto in provincia le mie soddisfazioni più grandi.»

Quali sono le persone con cui ha legato di più?
«Quando arrivai, Gerardo Liguori fu il mio coinquilino e la persona a cui tutt’ora sono più legato. Nel periodo di Giarre, ero molto amico di Pippo Borzì

Un tecnico importante?
«Cantone è stato quello che mi è stato più da esempio.»

Qual è stato invece un tecnico con cui non si è trovato bene?
«Uno in particolare che mi ha deluso, che non aveva tanta dimestichezza come allenatore, è stato Giuseppe Laneri. L’ho avuto al Leonardo da Vinci: avevamo una squadra nettamente più forte, ma non riuscimmo a salire. Io e Taormina dovevamo garantire la promozione, ma non siamo riusciti a salire e credo che la colpa fosse dell’allenatore, che non riusciva a gestir bene la squadra.»

Un grande compagno di squadra?
«Ce ne sono stati diversi. Angelo De Stasio, quando è venuto a Comiso, giocava anche con una gamba sola perché aveva un ginocchio distrutto e malgrado tutto segnava trenta punti a partita. Peccava in difesa, ma era veramente forte in attacco.»

Potesse tornare al 1981, sceglierebbe di nuovo Catania?
«Certo, tant’è vero che sono rimasto a vivere qui. Ho avuto varie richieste dal nord, ma ho preferito spostarmi in giro per la Sicilia.»

Cosa ne pensa della pallacanestro catanese attuale?
«Non si arriva in alto perché non si trova un accordo, ci sono troppe invidie. Basterebbe fare una società unica per tutta la provincia. Personalmente la farei ad Acireale, dove c’è un progetto serio: la squadra di Foti potrebbe far nascere qualcosa di buono. Inoltre, mi sembra un ambiente sano. Mentre a Catania non ci credo tanto. D’altronde, se Ragusa e Trapani hanno delle grandi squadre perché non possiamo averne una noi? Per gestirla, le persone si troverebbero. Personalmente non potrei impegnarmi, perché sono agente di commercio. Se nascesse qualcosa più serio, magari…»

Salvatore Maugeri e Roberto Quartarone

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