Dieci anni dopo Genova, che cosa è cambiato?

Dieci anni dopo, e cosa è cambiato?

Sembra ieri, ma già sono passati dieci anni da quando le violenze perpetuatesi a Genova durante il vertice del G8 nel 2001 hanno segnato la storia.

Difficile non ricordare il sangue e i minuti di terrore di quei terribili giorni. Rivendendo le immagini sembra assistere ad un reportage sulla striscia di Gaza e invece si tratta proprio di Genova.

Quello che nasceva nel 1999 a Seattle si apprestava a divenire il cosiddetto “movimento dei movimenti”, che avrebbe raccolto una quantità gigantesca di persone in tutto il mondo. Movimento senza fini secondari, senza rivendicazioni specifiche, volto  solamente alla ricerca di una giustizia globale. Sostanzialmente giovani e meno giovani, lavoratori e disoccupati e gente di ogni nazionalità unita per protestare contro i dettami della globalizzazione neoliberista, l’arricchimento dei più ricchi a discapito della moltitudine.

Da sempre le principali istituzioni contro cui il movimento globale si muove sono il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ed i vertici del G8, considerati come i luoghi e i modi attraverso i quali vengono messe in atto le politiche elitarie nel mondo.

Da quando la protesta ha rivelato le sue dimensioni globali, i politici di alto rango, in accordo con buona parte dei grandi media, non hanno perso tempo a definire il movimento come “no-global”, violento, terrorista e anarchico.

Evitando scientificamente di ricordare che il movimento ha una sua natura pacifica e civile e che solo una frangia estremista ed esterna ad esso (i cosiddetti black block) si esprime attraverso atti di violenza e vandalismo, politici e televisione tendono a dipingere ogni sorta di oppositore al capitalismo globalizzato come vandalo; black block, appunto.

In realtà, il termine “no-global” è volutamente fuorviante, in quanto il movimento non si oppone alla globalizzazione, si oppone a questa globalizzazione, che si allontana sempre di più dai bisogni veri delle persone, dalla democrazia partecipativa e va verso un sistema in cui dominano speculatori finanziari e grandi multinazionali, una sistema in cui la politica lecca i piedi ai poteri economici sovrastatali e le decisioni importanti vengono prese da un numero di persone sempre più piccolo e sempre meno controllabile.

Dopo i dolorosissimi ed oscuri fatti di Genova, per i quali nessuno ancora si  è assunto le responsabilità, per gli ordini che sono stati dati alla polizia e per il fatto che poliziotti condannati per violenze sono stati poi promossi, il movimento ha subito un declino che vive ancora oggi.

La coesione e la forza di dieci anni fa non si percepisce, eppure, oggi più che mai, la crisi globale e la storia danno ragione alle denunce e alle idee del movimento. Idee che comunque sembrano ancora essere presenti nell’animo di quegli uomini come gli “indignados” spagnoli che ancora oggi sentono il bisogno gridare basta ad una politica che deriva dall’alto.

Non più tramite sindacati e partiti, ma attraverso Facebook e Twitter, i protagonisti di oggi si mobilitano per ottenere un cambiamento vero, reale.  Così come si faceva a Seattle dodici anni fa.

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