Guerra, media e bugie. Quanto può essere stretto il rapporto tra queste tre parole?
Siamo abituati a vedere delle immagini, dei video che girano per il web e tra le prime pagine dei giornali di tutto il mondo che ci disgustano, ci rattristano, a volte ci nauseano.
Solo poche settimane fa ci siamo sconvolti e scandalizzati per le fotografie delle fosse comuni nelle quali venivano seppellite le vittime del regime di Gheddafi.
Tutti i media hanno mostrato al mondo istantanee più che eloquenti, che lasciavano intendere il senso del macabro e dell’orrido che aveva un solo obiettivo: farci gridare allo scandalo.
Il 17 febbraio siamo stati tutti chiamati all’attenzione dalle notizie che giungevano dai reporter mandati in Libia. Si parlava di proteste, rivolte, e di …massacri. Gheddafi stava massacrando il suo popolo, sono fuoriuscite voci riguardo incredibili torture inferte agli insorti e violenze inaudite.
Pochi giorno dopo, nelle prime pagine di tutto il mondo e su YouTube spopolavano delle immagini e un video che riguardavano le presunte fosse comuni di Gheddafi scoperte sulla spiaggia di Tripoli. Il Messaggero titolava: Libia, l’orrore delle fosse comuni. Quasi tutti gli altri quotidiani nazionali mostravano in prima pagina la foto che ritraeva le fosse in questione.
Insomma, il messaggio era chiaro: Gheddafi stava letteralmente compiendo un genocidio, una sorta di violenza e crudeltà che ricordava gli orrori di Hitler e Stalin.
C’è un solo punto da chiarire: quelle fosse comuni non sono mai esistite.
Si è scoperto che il video in questione era stato postato già diversi mesi prima e che, soprattutto, si trattava di un normale cimitero di Tripoli in cui venivano serenamente e ordinatamente seppelliti alcuni defunti. Niente fosse comuni, solo un normale cimitero in cui si stava facendo quello che si fa ordinariamente in un cimitero.
E’ curioso il fatto che nessun giornalista abbia mai pensato di verificare né la data né l’autenticità del video,ma si sia immediatamente puntato sul conveniente collegamento tra alcune immagini e contesti decisamente divergenti, per far colpo sull’opinione pubblica.
Altro elemento su cui il sistema dei media ha distorto le relative notizie è il numero delle vittime. Si è cominciato a parlare di oltre 10mila morti causate dalla repressione del Raìz, cifra che non è assolutamente valutabile e che è lontana dal trovare una conferma attendibile. I primi civili intervistati che sono riusciti a lasciare il paese hanno raccontato di scontri molto violenti, negando però ogni sorta di massacro, dicendo che le repressioni c’erano ma non erano di grandi dimensioni.
Lo stesso Capuozzo, inviato storico di Canale 5, sostiene come “in guerra la verità sia la prima vittima” e che le notizie vengono con troppa facilità “gonfiate, modificate e talvolta manipolate”. Secondo il reporter “il numero delle vittime non è verificabile” e la morale della comunità internazionale “va ad intermittenza”, in quanto interviene solo in alcune zone, ma non in altre, come il Ruanda, dove le violenze erano davvero atroci.
Le manipolazioni dei media nella guerra libica non sono un’eccezione. Anche in altri scontri che hanno segnato la storia contemporanea le montature giornalistiche hanno giocato un ruolo fondamentale. Si pensi alla rivolta di Timisoara in Romania, quando tutto il mondo venne a sapere, attraverso immagini sconcertanti, le terribili torture inflitte dal regime di Ceausescu alle popolazioni in rivolta.
Storica è la foto in cui vengono immortalate una madre con la figlia piccolissima, barbaramente uccise dalla polizia segreta.
Anche qui, alcuni punti da chiarire: La donna e la bambina non erano parenti, e non erano nemmeno state uccise. La donna (tra l’altro molto anziana) era morta tempo prima per una cirrosi epatica e la bambina era deceduta in seguito ad una congestione.
Grazie agli accorgimenti di alcuni inviati, si scopre come in diverse altre foto delle vittime del regime, in realtà, i cadaveri siano in un avanzato stato di decomposizione e che alcuni di questi abbiano delle cicatrici che più che torture ricordano i tagli delle autopsie post mortem.
Anche in quella situazione, lo scalpore che le notizie avrebbero suscitato avevano la priorità sull’effettiva descrizione dei fatti e i giornali parlarono di oltre 4 mila morti, barbaramente uccisi e seviziati dal sanguinario regime di Ceausescu.
Ma la messa in scena, forse più ben orchestrata della storia recente, riguarda la guerra del Golfo.
In base alle testimonianze di una ragazzina di quindici anni, dei soldati iracheni entrarono in un ospedale del Kuwait e strapparono circa 300 bambini dalla incubatrici.
Il mondo intero provò commozione e rabbia vedendo l’innocente ragazzina in lacrime che raccontava come i soldati avessero lasciato quei poveri bambini a morire sul pavimento. Sia le pagine dei giornali di tutto il mondo che lo stesso Presidente americano di allora, George Bush senior, puntarono su quell’orribile avvenimento che contribuì all’entrata in guerra degli Stati Uniti.
Solo alcuni mesi più tardi, però, si scoprì che le testimonianze al Congresso erano state selezionate da un’agenzia di public relations ingaggiata dal governo kuwaitiano allora in esilio.
La stessa ragazzina che ha scioccato tutti, in realtà era la nipote di un ambasciatore kuwaitiano che lavorava a Washington. Inoltre, venne alla luce che Nayirah, così si chiamava l’adolescente, non era mai stata in Kuwait nell’estate del 1991, periodo del presunto evento, e che quei 300 bambini non sono mai esistiti.
La notizia che rivelò la menzogna venne pubblicata a fine pagina in pochi quotidiani, risultando praticamente irrilevante agli occhi dei media.
Questa ricerca giornalistica è stata condotta dai giornalisti del programma televisivo “La storia siamo noi”.
Attraverso questo encomiabile lavoro è necessario ricordare che sarebbe del tutto inappropriato pensare che la maggior parte delle violenze inflitte da dittatori e regimi sanguinari non accadano o non siano mai accadute.
I comportamenti violenti e ogni forma di repressione devono assolutamente essere condannati e documentati, senza in alcun modo giustificare massacri e torture.
Questo è assolutamente fuori discussione.
Ciò su cui si deve discutere, è invece, il rapporto poco trasparente tra guerre, media ed altri interessi, per i quali troppo spesso si sacrifica la correttezza, che dovrebbe costituire l’essenza del giornalismo.