Quelli dello Jägermeister/2: Enzo Privitera

«Il “Mancino Terribile”: qualcuno mi chiamava così quando giocavo.» Questo è il ritratto di Enzo Privitera, ex playmaker e capitano di quello Jägermaister che, alla fine degli anni settanta, sfiorò in più occasioni la promozione in Serie B. «Il mio forte era il tiro, avevo una buona mano da lontano. Allora non c’era la linea da tre: posso assicurare che avrei segnato molti più punti se quella linea fosse stata introdotta prima!» Privitera fu una bandiera: arrivò al Gad a quindici anni e la lo lasciò dopo nove campionati, contribuendo alla rinascita di una società che era dovuta ripartire da zero per problemi economici.

Enzo Privitera

CAPITANO. Enzo Privitera, 50 anni, ex capitano dello Jägermaister [La Sicilia].

«Ho iniziato a giocare con i salesiani dell’oratorio di Santa Maria delle Salette, a San Cristoforo. Come tanti altri miei compagni, sono nato in quel quartiere, in una zona a rischio. I salesiani ci coinvolsero già a sette anni in varie attività, tra cui calcio, pallavolo e basket. Quest’ultimo sport ci affascinava più degli altri, così entrammo a far parte della squadra di minibasket. Il mio primo allenatore è stato Gianni La Mendola, a cui sono grato per tanti motivi, anche extrasportivi.»

Quali furono i primi tornei a cui partecipò?
«Innanzitutto i campionati P.G.S. Eravamo una squadra molto affamata di vittorie e con la voglia e la forza di crescere riuscimmo ad ottenere dei buoni risultati, giocando più volte le finali nazionali. Nel 1970, venni scelto anche per la squadra che rappresentava Catania al Trofeo della Sicilia nell’ambito dei giochi della gioventù: arrivammo secondi a livello regionale e potemmo partecipare alle Olimpiadi giovanili a Roma. Lì arrivammo tredicesimi su trentadue, battendo nella finalina Milano: fu una soddisfazione.»

Chi si affermò in quel gruppo?
«Solo io e Gianni Messina arrivammo a giocare ad alto livello, gli altri si sono fermati prima.»

Quando è iniziata la sua esperienza con il Gad Etna?
«Nel 1972, quando la società strinse un accordo con i salesiani, perché non aveva molti centri giovanili. Alcuni di noi passarono alla squadra del presidente Alfredo Avola, che in quel periodo era allenata da Totò Trovato e disputava la Serie B. Se non sbaglio, i due erano stati tra i fondatori della Grifone che era arrivata in Serie A; Avola, che è morto tempo fa, non era facoltoso, ma era un vero appassionato. Partii dalla Promozione, con il Gad che salì in Serie D, e ogni tanto venivo convocato come decimo uomo in prima squadra, nei momenti d’emergenza. Nel 1973, la società dovette rinunciare alla serie cadetta per motivi economici e così la mia squadra ne raccolse l’eredità.»

A sedici anni facevi così parte della prima squadra?
«Sì. In Serie D, rimasero solo l’allenatore e un paio dei ragazzi della B, che si unirono a chi aveva vinto la Promozione, per ripartire da zero. Io e gli altri ci ritagliammo uno spazio sempre maggiore. Nel 1974 venne promosso il tecnico in seconda, Enzo Molino, che nel 1976-77 condusse la squadra alla promozione in Serie C. Poi si trovò uno sponsor, lo Jägermaister.»

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STRARIPANTI. L’articolo sul ritorno del Gad Etna in Serie C dopo la vittoria contro Patti [La Sicilia].

Come fu l’esordio in quarta serie?
«Favoloso. Vincemmo le prime tre partite, poi perdemmo il derby contro lo Sport Club. Il resto della prima fase fu altrettanto positivo. Prima del derby di ritorno, vinto da noi, mi operai all’inguine per un fastidio causato da un’ingessatura e saltai una parte della stagione. Arrivammo primi e accedemmo alla seconda fase per la promozione in Serie B. In Poule B, però, arrivammo sesti e rimanemmo in Serie C.»

Lo Jägermaister giocò poi per altri quattro campionati la Poule B.
«Esatto. Nel 1978-79 in Serie C arrivammo secondi dietro Latina e nella seconda fase fummo quinti. Nel 1979-80 il campionato si divise in C1 e C2: arrivammo terzi in C1 e quarti in Poule B. Il 1980-81 è stato il mio ultimo campionato: nella prima fase siamo arrivati primi con Palermo e nella seconda fase quarti.»

Perché smise di giocare?
«Bisogna dire che ho lasciato a ventiquattro anni, nel pieno della maturità psicoatletica e da capitano. Dopo aver finito la scuola e il militare, avevo bisogno di lavorare. L’impegno della pallacanestro era totale; per affrontare un campionato importante bisognava allenarsi tutti i giorni. Non c’era un riscontro economico: i rimborsi spese non erano abbastanza. Chiesi anche di poter fare un lavoro part-time con la società, ma non riuscirono a trovare nulla. Dovevo scegliere e dopo il classico torneo d’agosto a Nicolosi, dove di solito si faceva anche il basketmercato, feci la mia ultima apparizione. Insieme a me, lasciò anche Molino. Vennero però Rolando Rocchi e Riccardo Corbi da Roma.»

Ma chi veniva da fuori non veniva pagato?
«Certo. Però io feci la mia scelta. È un rimpianto che porterò per tutta la vita. Da allora troncai con la pallacanestro: doveva essere un taglio netto, così non andai nemmeno al palazzetto per otto anni

Chi l’ha convinta a rientrare?
«Fu Natale De Fino, mio compagno nel 1978 e presidente dello Sport Club Gravina. Ripartii dalla Serie D, per un biennio dal 1989 al 1991. Poi… passai all’altra sponda! Ovviamente intendo che iniziai ad allenare, partendo dalle giovanili della Grifone rifondata da Enzo Molino.»

Gad Etna 1999-2000

DUE VOLTI. Il Gad Etna 1999-2000, quarto in Serie D dopo un avvio disastroso [La Sicilia].

Quando fece il corso?
«Nel periodo dei mondiali di calcio del 1998. Nel 1998-99 ho iniziato ad allenare la Promozione, poi ho fatto la Serie D con il Gad Etna. Poi allenai per un biennio la Grifone in C2 e feci un’esperienza anche con la Gimar, in Serie C femminile. La mia esperienza migliore, però, è stato un biennio all’Acicastello, che veniva da due retrocessioni, con due ripescaggi consecutivi. Nella prima stagione, iniziammo penultimi e finimmo quarti. Il lavoro fu positivo, continuai con lo stesso gruppo e anche se non eravamo tra i favoriti, ci siamo trovati in ballo, abbiamo ballato e abbiamo vinto il campionato di Serie D. L’unico innesto era stato Alessio Boschi

Ma la squadra non ha mai giocato in Serie C2.
«No, perché era una società satellite della Virtus, che per una politica di gestione non l’ha iscritta più, preferendole un’altra squadra. Ci rimasi malissimo e me ne andai, ripartendo dalla panchina del Battiati. Lo scorso anno siamo arrivati terzi, poi siamo stati ripescati in Serie C2 come prima non classificata. Oggi mi occupo delle giovanili e assisto Carmelo Viola in prima squadra.»

In che ruolo giocavi?
«Ho iniziato da lungo, però con il tempo prima sono stato esterno e poi playmaker. Ho fatto tutti i ruoli e imparato tutti i movimenti. Comunque, per trasformarmi play dovevo avere un minimo di predisposizione: mi sono trovato e sono rimasto così sin dal secondo anno di Serie D.»

Qual era il tuo punto debole e il tuo punto forte da giocatore?
«Come ho detto, il punto forte era il tiro. Quello debole forse era la mia impulsività; non mi ricordavo, ma riguardando dei vecchi appunti mi sono accorto che mi hanno squalificato più volte… D’altro canto, questo denota che non mi tiravo mai indietro, lottavo sia in attacco che in difesa: con Messina eravamo due cuori rampanti

Qual è la gara che ricordi con più emozione?
«Mi ricordo quella della promozione in Serie C e l’esordio contro Palermo. Ma quella più emozionante è stata, nonostante la sconfitta di un solo punto, l’andata contro lo Sport Club: la cornice di pubblico era spettacolare e io ho fatto trenta punti

Con chi sei rimasto in rapporti migliori?
«In particolare non sono rimasto legato a nessuno. Non ho avuto mai screzi particolari: insomma, non c’è mai nessuno che gira l’angolo quando mi vede!»

Una soddisfazione da allenatore?
«A parte l’esperienza con l’Acicastello, l’anno con il Gad Etna è stato fantastico. Giocavamo con i cadetti, senza nessun uomo squadra. Inizialmente perdemmo otto gare consecutive, poi diedi le dimissioni a Molino, che però le respinse. E aveva ragione lui: la squadra ebbe una metamorfosi, senza nuovi acquisti. I ragazzi riuscirono a dare una svolta al campionato e vinsero dodici partite di fila, battendo anche le squadre che si giocavano la C2, cioè Adrano, Battiati e Capo d’Orlando. Finimmo al quarto posto. Questo dimostra che fare l’allenatore non è solo un discorso tecnico, che certamente vale, ma deve essere affiancato dalla capacità nel saper gestire i rapporti personali, i singoli ragazzi e il gruppo in generale: quell’anno mi riuscì molto bene.»

Lei che ha allenato la Gimar, cosa ne pensa del basket femminile a Catania?
«Penso che quando finiranno di giocare le ragazze della vecchia guardia, non so quale ricambio ci possa essere: nel settore giovanile sta lavorando molto bene la Lazùr, ma dalle altre vedo poco.»

E dei campionati minori?
«Oggi la Promozione e anche la Serie D sono al livello della vecchia Prima Divisione, che quando giocavo io era il campionato dedicato a chi praticava il basket per passatempo e agli ex giocatori. La Promozione oggi è praticamente nulla a livello tecnico, mentre all’epoca era un campionato molto serio. In Serie D, si andava a giocare oltre lo stretto per trovare spazio. Si dice che si farà una riforma: secondo me sarebbe buono, perché si darebbe un valore al campionato, aumentandone anche la qualità.»

Roberto Quartarone

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